Tarocchi della realtà

Ama ciò che fai (anche se non è per sempre)

Ama ciò che fai (anche se non è per sempre)

Ama ciò che fai: ma se fai qualcosa che non ami?

Di recente, ho avuto una conversazione con Andrea, il proprietario di un ristorante orientale che frequento spesso con il mio compagno. Durante una chiacchierata, mi ha raccontato come abbia dedicato i vent’anni migliori della sua vita al lavoro. Nonostante le sfide che inevitabilmente comporta il settore della ristorazione, Andrea si sente appagato. Il suo ristorante, dice, gli ha permesso di incontrare persone che lo hanno arricchito, e questa connessione con il pubblico è la fonte della sua soddisfazione.

Non ho potuto fare a meno di pensare alla carta dei Tarocchi dell’Innamorato (Arcano VI), uno dei miei archetipi preferiti. Per me è quasi inevitabile interpretare la realtà attraverso i Tarocchi: in fondo, le loro immagini simboliche sono una lente potente per osservare le dinamiche della vita. L’Innamorato ci parla di scelte, di amore, e soprattutto di come ciò che scegliamo di amare possa darci una nuova direzione. È come se ci chiedesse: “Se non ami ciò che fai, perché non lo cambi?” Ma c’è anche un’altra possibilità, emersa durante questa conversazione: “Se non puoi cambiare ciò che fai, amalo.” Queste parole hanno risuonato dentro di me, come se un essere illuminato fosse sceso nel corpo di Andrea, giusto per quei secondi, per consegnare questo messaggio.

Questa nuova consapevolezza mi ha spinto a vedere in modo diverso la famosa citazione: “Se non ti piace dove sei, cambia! Non sei un albero.” È una frase che ho trovato sempre affascinante, ma, a un certo punto, ho capito che non sempre si può semplicemente “cambiare” il contesto in cui ci troviamo. Come ho scritto in un altro articolo, “Tu non sei il tuo lavoro,” la nostra identità non deve essere definita esclusivamente da ciò che facciamo. Certe volte il cambiamento non è una scelta immediata. Non sempre possiamo prendere e andare via. E allora, cosa possiamo fare?

Una possibile risposta sta nel ribaltamento di quell’equazione di pensiero: amare ciò che fai non è un atto di rassegnazione, ma di comprensione. L’amore, in questo caso, è uno strumento di consapevolezza e di trasformazione interiore. Andrea, con il suo racconto, ne è un esempio vivente. Non ha bisogno di cambiare il suo lavoro per trovare un senso di pienezza; ha trovato un modo di amare ciò che fa, e questo gli permette di rimanere in quel contesto con uno spirito aperto. Amare non significa accettare tutto passivamente, né tantomeno smettere di ambire a qualcosa di diverso o migliore. Significa fare pace con il presente e, in qualche modo, sbloccare nuove prospettive. In che senso? Attraverso l’amore (le Coppe nei Tarocchi) possiamo attingere alle nostre risorse più fertili (i Denari).

Questa riflessione mi ha portato a fare una distinzione importante: la differenza tra accontentarsi ed essere contenti. Accontentarsi ha un’accezione passiva, quasi di sconfitta; è un modo di dire “questo è tutto ciò che posso avere.” Essere contenti, invece, è uno stato attivo, in cui accogliamo la realtà così com’è, senza perdere la volontà di migliorarla. Non dobbiamo fermarci a ciò che c’è di imperfetto, ma partire da lì per andare oltre. In questo senso, amare ciò che facciamo non è mai una resa, ma una forma di riconciliazione con il momento presente, che può portarci a una trasformazione profonda.

Le parole che usiamo, in questo caso per descrivere il nostro rapporto con il lavoro, con le nostre attività quotidiane, hanno un peso enorme. Dire “mi accontento” è molto diverso dal dire “sono contento,” e questa differenza nel linguaggio riflette il nostro atteggiamento interiore. Cambiare le parole che usiamo può aiutarci a cambiare la nostra prospettiva. Joseph Campbell ha scritto: “Trova un posto dentro di te dove c’è gioia, e quella gioia brucerà il dolore.”¹ Non sempre possiamo cambiare le circostanze esterne, ma possiamo cambiare il modo in cui le viviamo, trovando una fonte di gioia anche nel mezzo delle difficoltà.

Al contrario, come siamo abituati a vivere quando non siamo contenti del nostro mondo? L’essere umano, tendenzialmente, si lamenta. Si lamenta = sì, è la mente. Questo gioco di parole, pur non riflettendo la vera etimologia, coglie l’essenza del circolo vizioso in cui ci ritroviamo quando ci concentriamo solo su ciò che non va. Il lamento è spesso un segnale che la nostra mente è intrappolata in un circuito chiuso, che gira intorno agli stessi problemi senza trovare una via d’uscita. La mente, quando si lamenta, in realtà è in cerca di una soluzione, ma finché rimane nei suoi soliti schemi, non può trovarla. Amare ciò che facciamo è un modo per spezzare quel circolo e aprire una nuova strada. Non significa accettare la situazione come definitiva, ma iniziare a guardarla da una prospettiva diversa, che potrebbe condurci a un vero cambiamento.

Non è che se non ci piace una situazione dobbiamo per forza rimanere lì; amare ciò che facciamo è un mezzo per comprendere meglio noi stessi e il nostro percorso. Non è una resa, né un atto di sottomissione al destino, ma un modo per trovare significato nel presente. Proprio come un uomo che cammina in una città grigia sotto la pioggia con un ombrello arcobaleno: l’amore non cambia la realtà esterna, ma è uno strumento che ci protegge e ci permette di andare avanti. Non trasforma ciò che è intorno a noi, come le “lenti rosa dell’ottimismo,” ma ci offre un rifugio, un modo per navigare il mondo con dignità e forza, anche nelle condizioni più avverse. E comprendendo il presente possiamo davvero cambiare il futuro.

 

¹ Joseph Campbell, Il Potere del Mito,Parma, Guanda, 1988.

 

© Fotografia di Alberto Manieri, Atene, 2024.

Alberto

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