Ero seduto fuori da una caffetteria, fumavo una sigaretta. Solo. E ho fatto qualcosa di sovversivo. Non ho tirato fuori il telefono per scorrere senza fine tra post e storie. Stavo lì e semplicemente guardavo, ascoltavo.
La realtà intorno a me si muoveva con il suo ritmo abituale: voci, passi, tazze che si posavano sui tavolini. Poi mi hanno colpito delle voci.
C’è stato un momento
in cui trovavo.
Poi non ho trovato più
e mi accompagnavi tu.
Era una poesia? Non l’ho scritta io. Ho solo ascoltato queste parole, sentivo il discorso di questi due passanti ma l’attenzione si è focalizzata su queste frasi spezzate. Le ho registrate nella memoria, poi le ho trascritte appena ho potuto. Mi suonavano in testa. Mi suonavano come una poesia.
Può essere che stessero parlando di un prodotto che si trovava solo in un determinato supermercato. La mia mente ha inventato una storia diversa ascoltando queste parole. Mi ha parlato di un sentimento, di un luogo introvabile dove questo cresceva e l’uno non riusciva più a raggiungerlo senza l’altro, a un certo punto.
Siamo abituati a pensare alla poesia come qualcosa che appartiene ai libri, ai poeti, a chi sa maneggiare le parole con mestiere. Ma la poesia non è solo una questione di scrittura. È un modo di percepire il mondo.
Esiste nelle strade, nei discorsi rubati per caso, nei dettagli che sfuggono alla distrazione. Il problema non è che la poesia non esiste intorno a noi, è che non la vediamo più. Presi da ritmi tiranni, assorbiti dai nostri schermi, cerchiamo costantemente informazioni e dati, ma smettiamo di osservare. E senza osservazione, non c’è poesia.
La poesia operò un cambiamento fondamentale nel mio modo di agire. Smisi di vedere il mondo attraverso gli occhi di mio padre. Mi era consentito tentare di essere me stesso.
– Alejandro Jodorowsky ¹
La poesia non è classificabile solo come un’arte, ma come un modo di stare al mondo, di vivere con uno sguardo aperto alla bellezza nascosta nelle cose. Vivere poeticamente significa rompere gli schemi, concedersi di sentire prima ancora di capire, essere disposti a vedere l’invisibile.
Compiere un atto poetico, quindi, non è solo scrivere versi: è scegliere un gesto inaspettato, è aprirsi a un significato che non avevamo previsto, è accogliere l’imprevisto come parte del nostro percorso.
Le pagine dei libri sono diventate vuote, troppo piene di parole. Dobbiamo allenarci a riconoscere la poesia. E per riconoscerla bisogna fare un passo indietro.
Federico García Lorca² parla di una forza misteriosa e viscerale che anima l’atto poetico: “Non è nella gola; il duende sale dall’interno, dalla pianta dei piedi.” Per lui, la poesia nasce dall’esperienza diretta, dall’attenzione totale alla vita, più che da una semplice abilità tecnica.
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Osservare. Prima ancora di interpretare. Viviamo immersi in un rumore continuo, non solo di suoni, ma di pensieri, opinioni, spiegazioni immediate. Siamo abituati a riempire ogni spazio con un’interpretazione, con un senso già pronto. Ma se ci fermassimo un attimo? Se guardassimo la realtà per quello che è, senza cercare di decifrarla subito?
La poesia accade prima dell’interpretazione. Non è una sovrastruttura, è qualcosa di essenziale. Si manifesta nell’attimo in cui scegliamo di prestare attenzione. E l’attenzione è un atto rivoluzionario. Leggere i muri come fossero pagine di un libro. E le persone.
La prossima volta che sei da solo, in un bar, su un autobus, per strada, prova a fare qualcosa di sovversivo. Sii un rabdomante della realtà, in cerca di segni nascosti nelle pieghe del quotidiano. Non tirare fuori il telefono. Non cercare subito un significato. Osserva, ascolta, senti.
La poesia non ha bisogno di essere scritta. È già ovunque. Devi solo accorgertene.
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